Rawan Ghneim: “È bene avere un legame con i luoghi della tua città per riconoscere e conoscere il tuo passato”
Nel febbraio 2020, un progetto interamente consacrato ai giovani palestinesi di Gerusalemme Est è stato lanciato dall’associazione Pro Terra Sancta (Pro TS) in collaborazione con il Terra Sancta Museum e grazie al sostegno dell’Unione Europea. Abbiamo incontrato Rawan Ghneim, un palestinese della Città Vecchia di Gerusalemme, responsabile delle relazioni con i partner di questo progetto.
Rawan, puoi descriverci brevemente il tuo background?
Mi chiamo Rawan Ghneim e sono un palestinese della Città Vecchia di Gerusalemme. Inizialmente, ho studiato educazione fisica e ho lavorato per sei mesi in questo campo ma, dopo questo periodo, ho deciso di impegnarmi come volontaria nell’Al-Saraya Center, un centro di servizi comunitari situato nella Città Vecchia di Gerusalemme. Lì ho lavorato per un programma chiamato “letteratura per bambini” (أدب الأطفال) che incoraggiava i bambini a leggere e imparare le abilità della vita attraverso le storie. Dopo due mesi, il manager mi ha offerto una posizione a tempo pieno e ho lavorato per sette anni con loro, diventando infine capo di questo programma.
In seguito ho lavorato per due anni a Ramallah per la Al-Mada Association for Art-Based come project manager per il programma “For My Identity, I Sing”. Alla fine di questo progetto, sono diventata coordinatrice delle Giornate del Cinema di Palestina, organizzate da Filmlab.
Cosa ti ha attratto verso questa esperienza con Pro TS?
Era una nuova avventura per me, in realtà sia nuova che familiare. Familiare perché il lavoro è di creare network, attività che facevo già da molto tempo, e avevo già diverse connessioni: con la Direzione dell’Educazione [1], con le scuole, con le CBO [2], con le ONG [3], persino con la la gente per strada, perché io sono della città vecchia di Gerusalemme e ho lavorato qui per anni. Ma, d’altra parte, non avevo mai lavorato per un museo. Così ho pensato che questo lavoro sarebbe stato una buona occasione per me, per le mie esperienze pregresse, e che – allo stesso tempo – sarebbe stato impegnativo.
In realtà, quando Sara e padre Alliata [4] mi hanno portato al museo e mi hanno fatto fare un giro, avevo sentimenti contrastanti. Era la prima volta che entravo in questo posto e sentivo che era mia responsabilità farlo conoscere alla gente di Gerusalemme. Di solito non sono interessata alla storia, ma con tutto quello che sta succedendo, con il furto della nostra cultura e dei nostri luoghi, ho sentito la forte responsabilità di far conoscere questo luogo e la storia che racconta. È stata un’esperienza molto emozionante. Come vi ho detto, è stato impegnativo e facile, bello e spaventoso allo stesso tempo e sono felice di aver accettato il lavoro.
In cosa consiste esattamente il tuo lavoro?
Il mio lavoro consiste nel creare una rete di contatti tra il Terra Sancta Museum di Gerusalemme e le scuole, le istituzioni, gli altri musei e la comunità locale. Faccio anche conoscere questo luogo alle persone che solitamente, come me prima di questo lavoro, sono a conoscenza della presenza del convento ma non del museo all’interno delle sue mura. È importante perché il personale del museo è principalmente europeo, quindi ha bisogno di qualcuno che conosca i luoghi, le persone, la mentalità del posto e come introdurli in questo progetto.
Ogni settimana ho uno o due incontri e naturalmente c’è sempre molta corrispondenza per concordare le cose. Ma gli incontri non servono solo a creare una partnership.
Il nostro museo non è ancora molto conosciuto dalla comunità, quindi c’è sempre la paura di cadere in una trappola di normalizzazione. Così, dopo aver creato la connessione, devo costruire un rapporto basato sulla fiducia. Ci rivolgiamo ai bambini, ai giovani e ai gruppi della comunità locale in generale, quindi questo significa creare un ponte con le scuole ma non solo loro: vogliamo raggiungere queste persone ovunque siano. Penso che i bambini meritino di conoscere la loro storia, la storia della città, in modo corretto, bello e divertente. È bello portarli in luoghi dove possono giocare e imparare allo stesso tempo.
Come si crea questo rapporto di fiducia?
Beh, per cominciare, sono una persona degna di fiducia per loro perché mi conoscono tutti dai miei lavori precedenti. Conoscono le mie opinioni e il mio impegno. Ma, naturalmente, non è sufficiente e ci vuole tempo. Così, parlo loro del museo, delle persone che ci lavorano e anche dell’organizzazione Pro TS, di come lavorano e dei loro progetti precedenti. Cerco di portarli al museo per incontrare le persone, in modo che possano connettersi e sentirsi familiari con il luogo.
Prima di mandare i loro figli, devono essere convinti che il museo sia un buon posto per loro. Cerco anche di raccogliere le loro opinioni e di chiedere loro delle idee in modo che si sentano coinvolti nel progetto.
A volte è un processo lungo. Con alcune persone c’è voluto un anno e diversi incontri per raggiungere un accordo. Non perché non vogliano lavorare con noi, ma perché hanno dubbi e temono che se qualcosa andasse storto, verrebbero accusati dalla comunità locale.
Al Terra Sancta Museum, la storia che viene raccontata è quella cristiana. Ma non tutti i Palestinesi sono cristiani. È una sfida far venire al museo i palestinesi musulmani e mostrare loro l’interesse di questo patrimonio?
Certo, non tutti i palestinesi sono cristiani, ma sono tutti palestinesi. La Palestina in generale, ma soprattutto Gerusalemme è speciale perché ha al suo interno tante culture e religioni. Anche se non sono cristiani, dovrebbero conoscere questa parte della storia della città. Anche Gesù era palestinese! (ride) E in realtà, è bene che i cristiani conoscano anche i luoghi musulmani. Ecco perché abbiamo questa relazione con la biblioteca e il museo islamico nel complesso di Al-Aqsa [che gli studenti visitano anche grazie a questo programma, Ndr].
Credo che entrambe le parti, musulmani e cristiani, debbano conoscere l’uno dell’altro, che si tratti di religione, luoghi sacri, musei… Alla fine abbiamo un’unica cultura. Preghiamo in modo diverso, crediamo in cose diverse ma è la stessa cultura, la stessa lingua, la stessa situazione difficile che stiamo vivendo sotto l’occupazione. Cristiani o musulmani, non importa. Non abbiamo avuto un buon rapporto negli ultimi anni. Penso che l’occupazione abbia avuto un ruolo in questo, separandoci, usando la religione. A certi livelli ha funzionato perché le nazioni sono sempre influenzate dalle religioni, ma siamo tutti palestinesi, non importa in cosa crediamo, ed è bene avere questo progetto per cercare di riunire tutti i palestinesi.
C’è un’istituzione che partecipa maggiormente a questo progetto?
Ce ne sono tre in realtà. La scuola La Salle di Gerusalemme, il centro Al-Saraya e il museo islamico di Al-Aqsa sono davvero disposti a partecipare. Anche la scuola Lady Pilar è molto interessata, ma è arrivata solo di recente a causa della pandemia e di tutte le difficoltà legate ad essa.
Vuoi aggiungere qualcosa per concludere?
L’idea di questo progetto mi piace molto: educazione museale, attività museali, è tutto nuovo per noi. Continuo a pensare che i bambini dovrebbero visitare questo museo e la gente di Gerusalemme dovrebbe conoscere questo luogo e sentire che questa è la nostra terra. È bene dire alla gente: “Questo è il vostro posto, potete andarci, potete godervi il posto, potete essere coinvolti”. È bene avere una connessione con i luoghi della tua città in modo da riconoscere e conoscere il tuo passato. Per essere onesti, noi non abbiamo il controllo sul nostro futuro o sui nostri giorni, perché l’occupazione controlla tutto per noi. Quindi cerchiamo di conoscere il nostro passato in modo da poter, forse, in futuro, riprenderci la nostra terra.
👉 Clicca qui per saperne di più sul progetto A community living museum for Palestinian Youth.
(traduzione dal inglese a cura di Eleonora Musicco)
[1] L’ufficio governativo del Ministero dell’educazione per le scuole pubbliche palestinesi a Gerusalemme (poiché nessun ministero palestinese è autorizzato dall’autorità israeliana a Gerusalemme).
[2] Organizzazione a base comunitaria.
[3] Organizzazione non governativa.
[4] Sara Cibin, storica dell’arte e project manager di Pro Terra Santa, responsabile del programma “A community living museum for Palestinian Youth” e Padre Eugenio Alliata, archeologo (Studium Biblicum Franciscanum) e direttore della sezione archeologica del Terra Sancta Museum.