14 Luglio 2022

Pianta, architrave o scalpello: un falegname alla Custodia

di ANIELLO COZZA

Il TSM conserva oggetti che nel corso dei secoli sono stati regalati ai Frati della Custodia da umili pellegrini così come da sovrani che da tutto il mondo si recavano in Terra Santa. Tra i donatori della Custodia di oggi c’è chi decide di mettere a disposizione il proprio tempo, come Maurizio Chiocchetti, ebanista e falegname italiano, che dal 2015 viene a Gerusalemme mettendosi a servizio della Custodia e del Museo. Con la sua passione per la lavorazione del legno, in questi anni Maurizio ha prodotto oggetti d’arte e di uso per la liturgia, restaurandone anche tanti altri e abbellendo gli uffici del nostro museo. 


Maurizio, che tipo di lavoro svolge alla Custodia?

Maurizio Chiocchetti : Qui mi occupo di falegnameria e di restauro. Appena arrivato, il primo anno, ho iniziato con la verniciatura delle porte dell’Ufficio dei Beni Culturali. Poi è iniziata la mia collaborazione con fra Rodrigo, cerimoniere, che mi chiedeva dei lavori per le celebrazioni solenni e io li facevo, però al rialzo. Cioè partendo da piccole richieste e piccoli lavoretti, si finiva col fare cose anche di una certa importanza, con risultati più elaborati rispetto alla commissione iniziale.

A poco a poco il mio compito è cambiato. Il primo grosso lavoro che mi è stato affidato fu il restauro del coro di San Salvatore. E nei primi tempi non esisteva una vera e propria falegnameria nel convento.  C’era uno stanzone con una macchina che funzionava poco e male. E lì ho iniziato questi lavori che sono andati via via aumentando nel volume e nella complessità. Così da creazione di mobiletti o di strutture che servivano per la celebrazione si è passati agli arredi veri e propri della chiesa, come la costruzione degli altari per le Clarisse di Nazareth. Oggi alterno la parte del restauro (di cornici o di oggetti d’epoca) a quella di falegnameria vera e propria. 

Quale aspetto reputa più importante nel suo lavoro?

Gli arredi da chiesa non sono semplici mobili antichi che bisogna restaurare. È necessario avere una conoscenza della liturgia perché ciò che si crea per la chiesa deve avere un significato liturgico. Per questo motivo, la relazione e il contatto stretto con il cerimoniere, fra Rodrigo, è stata per me fondamentale e grazie ad essa ho potuto conoscere il mondo degli arredi liturgici. Senza tale collaborazione e senza la conoscenza che da essa deriva, il restauro nella chiesa non sarebbe la stessa cosa.

Un’altra parte importante del mio lavoro è l’osservazione di opere d’arte realizzate in passato. Guardo a ciò che è stato fatto, ad oggetti secondo me ormai irripetibili, e resto a bocca aperta. In essi rivedo la motivazione religiosa degli artigiani che, come me oggi, erano al servizio della Custodia.

Gli oggetti che produce sono al tempo stesso oggetti d’uso ma anche oggetti d’arte. Cosa significa questa unione tra uso e arte?

Tutti gli oggetti impiegati nelle chiese hanno una loro utilità: un altare è un oggetto che viene utilizzato. Ancora, un’edicola di un santo è usata per il culto. Per la loro realizzazione parto dalla mia passione per la materia viva, cioè il legno. Ad essa si uniscono vari studi che ho fatto sul mobilio e sul restauro nei vari periodi storici. Attraverso la conoscenza, liturgica e artistica, e tramite la manualità cerco di rendere leggibile ciò che realizzo: ogni oggetto ha un messaggio o una storia da raccontare e con il mio lavoro provo a darvi risalto. 

Le porte che realizzo, come quelle dell’Ufficio dei Beni Culturali, non sono mai semplici ma ricche di decorazioni, attraverso le quali si cerca di trasmettere l’idea di che cosa sia il luogo a cui danno accesso. 

Qual è la sua specialità?

Amo realizzare cornici. Con una cornice si riesce a dare tutta un’altra estetica ad un mobile. Anche il più semplice degli arredi può apparire bellissimo se dotato di una valida cornice. Il risultato finale è completamente diverso. 

Certo, c’è un bel da fare dietro una cornice. Si lavora di precisione con la fresa e quando si costruisce un pezzo, bisogna avere chiaro in mente l’intero progetto, con tutti i suoi dettagli e le sue misure. E questa cosa a me piace moltissimo.

Uno degli obiettivi del museo è valorizzare l’artigianato locale. La tua presenza qui ricorda quella tradizione di apprendistato che anticamente caratterizzava la Custodia, con le botteghe in cui i frati insegnavano i mestieri alla popolazione locale. Che ne pensa?

Ho scoperto che alcuni degli oggetti che a me piacciono di più sono stati creati quando qui esisteva una falegnameria, gestita da frati che avevano come aiutanti e apprendisti abitanti di Gerusalemme e delle zone circostanti. Questo aspetto mi ha sempre affascinato perché negli oggetti di questo periodo si nota il bagaglio culturale e la conoscenza ad essi sottesa. Caratteristica, questa, tipica della bottega con un apprendistato e che è venuta a mancare quando è cessata quest’attività della Custodia. E anche l’artigianato locale risentiva della presenza e dell’influenza dei frati. Certo, se la tradizione di apprendistato continuasse anche oggi sarebbe l’ideale: credo che ce ne sia un grande bisogno.

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