L’arte al servizio dell’incontro con Dio
In servizio per la Custodia di Terra Santa dal 2013, Fra Rodrigo Machado Soares è cerimoniere e vice direttore dell’ufficio dei Beni Culturali. Le sue due funzioni, che potrebbero sembrare molto diverse, lo mettono ogni giorno di fronte al patrimonio culturale dei francescani di Terra Santa per il medesimo scopo. Lo incontriamo oggi per scoprire in cosa consiste il suo lavoro, poco conosciuto, e capire meglio la specificità del Terra Sancta Museum e ciò che si nasconde dietro la definizione di “oggetti vivi”.
Rodrigo, in cosa consiste la funzione di cerimoniere?
La funzione del cerimoniere consiste nel guidare il rito e le celebrazioni, di far sì che si svolgano nel miglior modo possibile, il più normale possibile, conformandosi a ciò che è prescritto. Però dietro tutto questo, il compito principale è di aiutare la preghiera. Una celebrazione decorosa, preparata, fa in modo che tutta l’assemblea possa vivere e godere quel momento della celebrazione.
Si può dire che in una certa maniera il cerimoniere agisca come intermediario?
Allora, se si può usare questo linguaggio, si direbbe che si tratta di effettuare una mediazione tra gli attori (i celebranti) e il libro, in modo che il libro attraverso gli attori possa realizzarsi. Così, gli attori della celebrazione possono seguire ciò che devono seguire al momento giusto. La liturgia deve essere bella perché mira alla realizzazione profonda dell’incontro con dio. La liturgia è un incontro tra l’uomo e Dio e in questo incontro, dove avviene la celebrazione del mistero, se succede che qualcuno non sappia che cosa fare, c’è un caos.
Allora, come si prepara una celebrazione? Quali sono i passi?
Evidentemente, il ruolo del cerimoniere non si attiva unicamente dall’inizio della celebrazione al Prosit. Prima c’è tutta la scelta degli elementi che costituiscono la celebrazione, in collaborazione con i sacrestani (è un lavora di squadra, il cerimoniere non lavora mai da solo). Questa scelta è legata al mistero celebrato e al tono della celebrazione. Infatti, una celebrazione penitenziale non è la stessa cosa di una solennità come Pasqua. Va anche legata al luogo dove si celebra, per avere una certa armonia con l’edificio e con il contesto.
Qui, bisogna notare la particolarità dei luoghi santi. Fare il cerimoniere in Terra Santa è un po’ diverso da fare il cerimoniere in tutte altre parte del mondo, perché ci sono delle particolarità presenti solamente qui, nella liturgia della Terra Santa. Per esempio, il cerimoniere qui deve avere una conoscenza più ampia dello status quo, perché lui deve sapere, tra tempo e spazio, dove e come si può muovere [nel santuario] o che cosa si può fare e che cosa no.
In tal modo, il primo passo è di verificare tutti gli elementi e attori necessari per la celebrazione e contattarli: il luogo, l’elenco del servizio (chi celebra, quanti sono), i canti e poi l’organista (perché la musica deve guidare tutti in un certo modo). Dopo che tutti gli attori cominciano a lavorare, viene la preparazione del luogo e la scelta dello stile secondo il grado della celebrazione e il tono. Qui sono scelti gli elementi materiali in maniera tale che tutto formi un insieme: se il colore liturgico è il rosso, si potrà usare il paliotto veneziano, per esempio, con delle candele dorate perché il paliotto è ricamato in oro, se il paliotto è argentato saranno usate delle candele argentee. Alcuni oggetti però sono legati a una celebrazione per una tradizione, come il tabernacolo del Perù che è stato realizzato e donato per la celebrazione del Giovedì Santo.
Poi, quando sono pronti fiori, altari, ornamenti, etc., comincia la prova con i diaconi e dopo l’intero servizio. Infine, un’ora prima della celebrazione tutti gli elementi vengono disposti, la corale è pronta ed io con i miei collaboratori faccio le ultime verifiche, scegliendo le lingue usata per la liturgia, le persone che leggeranno le letture e che faranno l’offertorio.
In generale, per la chiesa di San Salvatore sono necessari due giorni di preparazione, più il giorno della celebrazione stessa e un altro per smontare e mettere tutto in ordine. Ma nei santuari è un po’ diverso perché non possiamo servirci dei luoghi quando vogliamo. Per esempio, nel Santo Sepolcro, se la messa è di fronte alla tomba, non si possono fare le prove il giorno prima, bloccando tutti i pellegrini che vengono a pregare lì. Quindi arriviamo due ore prima e la prova si fa nello stesso giorno. È un grande lavoro perché costituito da piccoli dettagli che devono essere messi insieme. È come un grande mosaico dove l’unità è importantissima perché un movimento che non va bene disturba un altro e comincia a produrre dei piccoli buchi che alla fine diventano un grande buco. La liturgia deve essere breve, semplice e pulita ma deve avere un ritmo e quando si perde questo ritmo diventa pesante.
Adesso, parliamo un po’ del museo della Custodia. Sei anche vice direttore dei Beni Culturali. Come vedi il legame tra queste due attività?
In un certo modo si completa perché il nostro museo non è un museo morto, è un museo di oggetti vivi che ancora conservano la loro funzione liturgica. Sono prima di tutto oggetti di culto che diventano poi anche opere d’arte. Questo crea un legame molto interessante tra le mie due attività perché è un modo di conoscere il nostro patrimonio usato nella liturgia, imparando di più sulla loro storia e il loro significato.
Quindi, come vedi questi oggetti? E cosa pensi di tutti gli oggetti che oggi sono conservati nei musei e non sono più usati?
Adesso posso dire che capisco l’interesse artistico di questi oggetti più di prima, ma non potrò mai smettere di vederli per la funzione per la quale sono stati realizzati, perché essa è più forte del valore artistico. Il bello non è fine a se stesso ma serve a manifestare qualcosa di più profondo di quello che accoglie, quello che si celebra e che raffigura. Il calice più bello, più ornato e ricco di pietre preziose lo è perché accoglie la cosa più preziosa che si possa avere, cioè il sangue di Cristo. Perché i paramenti che indossano i celebranti devono essere belli? Non perché è una sfilata di moda bensì per manifestare la presenza di Cristo.
Io lamento un po’ la mancanza di rispetto per la natura dell’oggetto. Capisco che a volte un calice non è più nello stato di essere usato senza causare danni e capisco anche che per un museo che ha solo tre calici, toglierne uno per una messa e lasciare la vetrina mezza vuota è complicato. Però penso che se un elemento ha le condizioni di essere usato per occasioni specifiche (non si parla di ogni giorno), dovrebbe essere usato e sarebbe bello perché così facendo se ne rispetta la sua natura.
Però non pensi che è anche interessante questa nuova funzione degli oggetti nei musei, nel senso che essendo esposti permette di parlare della storia e del messaggio cristiani a un pubblico che oggi non entra nelle chiese?
Certo è evidente, ed anche il nostro museo è pensato per essere un luogo di incontro e di dialogo e soprattutto per fare riscoprire il mondo cristiano. Oggi tanti simboli e segni che facevano parte del senso comune non lo sono più perché la cultura è cambiata. Quindi tutto questo deve essere trasmesso ed è anche il compito del nostro museo. Oggi più che mai le persone cercano un incontro con Dio ed entrare nel museo, vedere questi oggetti può metterle in dialogo con qualcosa di più profondo. Lì dovrei forse usare la massima dell’estetica agostiniana che è l’itinerario della bellezza: immagino che il nostro museo sarà un grande itinerario, un percorso, una via della bellezza dell’esterno degli oggetti che vedremo, che toccherà il nostro interno permettendolo di elevarsi a qualcosa di più sublime, che è quello per chi ed a chi è stato destinato.