La croce d’oro e lapislazzuli: un dono di re Carlo III di Borbone. Da Napoli alla Terra Santa (1755)
Descrivendo il grande gusto artistico della Napoli del XVIII secolo, il critico Alvar González Palacios spiega che Carlo di Borbone (futuro C. III di Spagna), diventato Re delle due Sicilie nel 1735, «ebbe il tempo di pensare alla città di cui si considerava sovrano Gerusalemme». Da sempre, infatti, i re di Napoli avevano il titolo di re della Città Santa e la croce di Terra Santa fu sempre presente nei loro stemmi. Tra i provvedimenti realizzati per mantenere sicuri i suoi contatti con l’Oriente, nel 1743 Carlo sancì trattati di pace commerciale con la Sublime Porta ottomana di Costantinopoli.
Circa il rapporto con la Terra Santa, se da un lato era uso comune offrire da parte delle corti europee doni per i Luoghi Santi, ancor più doveva esserlo per chi si fregiava del titolo di re di Gerusalemme. Tra questi doni si ricorda un preziosissimo crocifisso d’altare in lapislazzuli che insieme ad altri regali appare dai documenti come “Elemosina della Maestà dell Rè d’gl due Sicilie, e i suoi fidelis.si vassalli che Iddio conserve” per la Basilica del Santo Sepolcro.
«Tale manufatto – scrive Palacios – presenta un piede ricurvo, con fascia di lapislazzuli delimitata da granati, mentre sopra i primi salti tra spirali di petali la croce di Terra Santa sormontata da un corona. In modo asimmetrico alcuni cherubini sorreggono una sfera che simbolizza l’orbis terrarum di lapislazzuli, la quale a sua volte sorregge la croce, i cui raggi contenenti pietre preziose sono disposti negli angoli dell’intersezione dei bracci della croce». Una straordinaria bellezza data dalla preziosa pietra blu sulla quale risalta un Cristo in oro. La croce, come si evince dai documenti, fu spedita da Napoli nel settembre 1756 per ordine Fr Gaetano Maria di Napoli, commissario di Terra Santa alla Corte di Napoli, attraverso Fr Michele Angelo del Sasso e i suoi compagni Fr Alesso di Bari e Fr Pascale di Initiano.
Le misure del crocifisso (91×36 m), inoltre, sembrano studiate appositamente per consentire l’inserimento in un Baldacchino anch’esso in oro e lapislazuli (72×25,5). Il nesso tra casa reale e Terra Santa è dato dalla croce di Terra Santa, affiancata agli stemmi coronati dei due regnanti e da un’ iscrizione presente sulla fascia inferiore dello zoccolo: NEAPOLI ANNO DOMINCI 1754. CAROLO SFB FELICITER REGN. CUM MARIA AM. REGINA P. COMMISSARIUS TERRE SANCTE F. CAJETANUS M. A NEAPOLI ELEMOSINIS REGNI NEAP. Il vano centrale con raggi dorati in parte gemmati è racchiuso tra costolature arricciantisi in foglie ed elementi a rocailles, con vari simboli sacri che si alzano a sostenere una corona chiusa sormontata da un globo stellato e dalla croce.
Secondo Palacios si tratta di prodotti realizzati in stile rococò dal Real Laboratorio delle Pietre Dure, così come si evince dall’uso della stessa pietra scelta da Luigi Vanvitelli per il tabernacolo della Cappella Palatina della Reggia di Caserta.
Per concludere, questi preziosi materiali del Crocifisso-baldacchino si mostrano insieme ad altri magnifici doni (es. l’Ostensorio del 1746, il bassorilievo della Resurrezione del 1736, il pastorale d’oro del 1754) come espressione della grande arte napoletana del ‘700 che trovava nella devozione, sia popolare che regale, il più alto grado di arte barocca, soprattutto se donata per la Terra Santa.
A.G. PALACIOS, Doni di Carlo III in TerraSanta in Il Gusto dei Principi. Arte di corte del XVII e del XVIII secolo, 1993 pp. 121-129.