Eyad Handal: «Mi sento molto orgoglioso perché stanno proteggendo oggetti e artefatti del nostro patrimonio, di questa terra.»
Il Terra Sancta Museum desidera presentare il patrimonio cristiano della Terra Santa esponendo opere d’arte eccezionali prodotte localmente. Vi proponiamo in questa intervista il ritratto di un giovane storico palestinese e il suo sguardo sui progetti museali dei francescani di Terra Santa.
Eyad, puoi descriverci il tuo background?
Mi chiamo Eyad Handal, ho 30 anni e sono di Betlemme. Attualmente lavoro al Centro Dar Al Sabagh, che possiede una grande collezione d’arte e artigianato e si impegna a raccogliere arte contemporanea palestinese. Ho iniziato a studiare meccatronica ad Hebron, e, in seguito, ho lavorato per cinque anni nel settore automobilistico. Poi sono stato eletto a capo di un consiglio giovanile del comune, e ho sentito che dovevo continuare i miei studi: sentivo che mi mancava qualcosa. Quando ero a scuola, la storia era la mia materia preferita. Sono andato all’università di Birzeit per studiare archeologia. Poi ho continuato con un master all’Università di Betlemme in turismo e patrimonio culturale.
Come sei arrivato nel mondo dell’arte?
Nel 2009, facevo parte degli scout di Terra Sancta, e ho incontrato il professore e collezionista George Al Ama [anche consulente del comitato scientifico del Terra Sancta Museum – nda], che in quell’occasione mi ha invitato a visitare la sua casa. La prima volta che sono entrato a casa di George, ho visto manufatti e arte ovunque. Era pieno di oggetti di madreperla e di vestiti palestinesi di Betlemme, di quadri, di libri… Io amo Betlemme ma non sapevo nulla del nostro patrimonio culturale. Ricordo che non volevo andarmene e gli ho chiesto di farmi conoscere tutto il nostro patrimonio culturale. Così mi ha consigliato di studiare archeologia quando ho deciso di continuare gli studi.
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Poi, all’università, abbiamo potuto lavorare a diversi progetti molto ricchi, come la riqualificazione del museo Al Mentar a Tulkarem. Per tre mesi, abbiamo lavorato affinché la comunità locale potesse recuperare il proprio patrimonio culturale. Ho anche avuto l’opportunità di partecipare a un corso di formazione in Cina sui musei, organizzato da ICOM e UNESCO.
Come hai conosciuto il museo francescano?
Un anno fa da padre Stéphane Milovitch (Direttore dei Beni Culturali della Custodia di Terra Santa) è venuto a Dar Al Sabagh e ha portato alcuni gioielli da mostrare a George Al Ama e restaurarli. Ero molto incuriosito e interessato a questi manufatti, e padre Stéphane mi ha invitato a visitare il museo a Gerusalemme.
Ho visitato il Terra Sancta Museum alla Flagellazione e le future sale nel convento di San Salvatore, e mi sono sentito davvero orgoglioso perché stanno proteggendo oggetti e manufatti del nostro patrimonio, di questa terra. Pensavo che i francescani pregassero e basta, fossero nelle chiese e gestissero i siti religiosi, ma non sapevo che si occupassero anche di proteggere questi oggetti artistici.
Cosa ti attrae di questo museo?
Sono attratto da tutti gli oggetti, perché ogni oggetto ha la sua storia ed evoca ricordi. Ogni manufatto ci dà un’immagine di come la gente ha vissuto per 2000 anni, ad esempio, per cui possiamo imparare molto da ognuno di essi.
La mia vera preferenza va alla madreperla, probabilmente perché viene da Betlemme: quando ho visitato la stanza della madreperla (articolo sulla madreperla e il restauro: ), sono rimasto davvero stupito. Mi sono sentito così orgoglioso di quest’arte e sono rimasto molto colpito da quei capolavori. È davvero impressionante, quando vedi che sono le opere d’arte della tua comunità. Suscitano sentimenti importanti, e si desidera scoprirne sempre di più.
C’è qualcuno in questo museo che ha lasciato un segno in te?
Padre Eugenio Alliata (archeologo e direttore della sezione archeologica del Terra Sancta Museum) è una grande persona ed è sempre generoso rispetto alle sue conoscenze. Quando gli chiedo qualcosa, non mi dà solo una semplice risposta, mi dà tutte le informazioni su qualsiasi domanda che ho. Ci incoraggia sempre a imparare di più sul nostro patrimonio.
Ha passato più di 40 anni in questa terra e nel campo dell’archeologia. Le sue conoscenze sono vastissime, ed io voglio imparare il suo punto di vista, le sue storie e documentarle perché è molto importante far conoscere alla gente – e soprattutto alla gente locale – questa storia – e quello che i francescani hanno fatto.
Perché questo museo è importante per te e in che modo il museo riguarda la comunità cristiana di questa terra?
Come storico, gli oggetti mi danno informazioni su come la gente della mia comunità viveva in Terra Santa.
Come cristiano, sono molto orgoglioso. Sono molto orgoglioso anche dei francescani, perché sono venuti in questa terra per Dio e per la Terra Santa, e stanno facendo queste cose, come costruire chiese e restaurarle. E stanno anche portando avanti molti studi.
Purtroppo, la maggior parte delle ricerche fatte sul patrimonio culturale palestinese sono realizzate da ricercatori esterni. Pochi palestinesi e ancor meno palestinesi cristiani studiano e pubblicano sull’argomento, ed estremamente pochi di noi scelgono di studiare la storia. Oggi invece, se voglio sapere qualcosa sulla mia storia o sul mio patrimonio culturale, posso consultare tutte le ricerche dei frati francescani. Il loro studio preserva la nostra identità di cristiani in Terra Santa. Conservando questi oggetti e studiandoli, io conosco la mia storia. Se nessuno conservasse questi oggetti, si avrebbe un effetto negativo anche sulla nostra eredità culturale. Perciò essere parte della conservazione di questo patrimonio, metterlo in mostra per tutti, presentarlo in una veste museale…è un gran progetto da realizzare.
Qualcos’altro da aggiungere?
Vorrei aggiungere qualcosa sulla comunità locale e su come siamo stati coinvolti dai francescani. Essere parte della conservazione di questo patrimonio culturale è veramente significativo per noi. Ora sento di essere collegato al progetto Terra Sancta Museum anche più di prima, perché ho avuto l’opportunità di visitare il museo, di incontrare padre Alliata, padre Stéphane e George Al Ama. Lavorare in questo campo e avere tutto questo aiuto – libri e studiosi esperti pronti a supportare le mie ricerche – è un’opportunità senza precedenti. Mi sento davvero fortunato ad avere tutte queste persone che sostengono me e la comunità locale, e a poter lavorare con loro per preservare questo patrimonio, per far emergere la sua storia e permettere alle persone di scoprirlo e sentirsi coinvolta.
(traduzione dal inglese a cura di Eleonora Musicco)